Timothy Tambassi
Abstract: The aim of this paper is to analyze E.J. Lowe metaphysical proposal by focusing on the relationship between metaphysics and science, on the notions of substance and time, and on the foundational role of substance for the constitution of reality. In the first section I will define the meaning of metaphysics for Lowe and I will show the relationship between metaphysics and the scientific and intellectual disciplines. In the second section I will analyze the notion of substance focusing on Lowe’s distinction between primitive and composite substances. Finally, in the third section, I discuss his position on the nature of time and his reflections on substances persisting through time.
PDF Keywords: Metaphysics, reality, substance, time, persistence
Obiettivo di queste pagine è analizzare i tratti essenziali della proposta metafisica di E.J. Lowe[1], concentrandomi sul rapporto che l’autore individua tra metafisica e discipline scientifiche, sulle nozioni di sostanza e tempo, e, soprattutto, su ciò che Lowe pone come fondamento del reale. Nel primo paragrafo cercherò di definire cosa intende Lowe con metafisica e di mostrare il rapporto che la lega alle discipline scientifiche e intellettuali; nel secondo mostrerò la centralità che la nozione di sostanza assume nella sua ricerca, distinguendo tra sostanze semplici e composite; nel terzo, infine, mi occuperò delle sue riflessioni sulla natura del tempo e sulla persistenza degli oggetti attraverso il tempo.
- Che cos’è la metafisica
Lowe descrive la metafisica come la disciplina razionale a priori, di carattere non empirico, che studia in modo sistematico le più fondamentali strutture della realtà[2] (Lowe, (1998) 2009: 12) – realtà considerata come unitaria e indipendente dal nostro modo di pensarla e descriverla – e che ha l’obiettivo di esaminare le possibilità reali, cioè le possibilità della realtà considerata in se stessa (Lowe, (1998) 2009: 42). In quanto studio sulla realtà, la metafisica si occupa delle entità su cui si struttura la realtà stessa (i suoi costituenti basilari) e del modo in cui esse si collegano, e di chiarire alcuni concetti universalmente applicabili – concetti come identità, possibilità, necessità, spazio, tempo, persistenza, cambiamento e causalità – esaminando le dottrine che li coinvolgono.
La centralità che la realtà, considerata come unitaria e auto-coerente, e la verità, definita come unica e indivisibile, assumono nella riflessione sulla metafisica dell’autore permette di chiarire il rapporto che lega la metafisica alle altre discipline scientifiche e intellettuali. Scrive a tal proposito Lowe:
The various special sciences, and other intellectual disciplines whose practitioners would probably not care to call themselves ‘scientist’ – such as historians and literary theorists – are all concerned, at least in part, with the pursuit of truth, but pursue it according to their own methods of inquiry and within their own prescribed domain. None the less, the indivisibility of truth means that all of these forms of inquiry must, if they are to succeed in their aim, acknowledge the need to be consistent with each other. Nor can any one of them presume to adjudicate such questions of mutual consistency, because none of them has a jurisdiction beyond its own limited domain. Such adjudication can only be provided by the practitioners of an intellectual discipline which aspires to complete universality in its subject-matter and aims – and that discipline is metaphysics, as traditionally conceived[3] (Lowe, 2002: 3).
In questo senso, secondo Lowe, la metafisica ha una priorità concettuale rispetto a ogni altra disciplina (che ha un dominio più limitato[4]), ne costituisce lo sfondo concettuale, e fornisce la struttura all’interno della quale le varie discipline sono pensate e collegate le une alle altre:
one of the roles of metaphysics, as an intellectual discipline, is to provide a forum in which boundary disputes between other disciplines can be conducted – for instance, the dispute as to whether the subject-matter of a special science, such as biology or psychology or economics, can properly be said to be subsumed under that of another, allegedly more ‘fundamental’ science, such as physics. […] Metaphysics can occupy the interdisciplinary role just described because its central concern is with the fundamental structure of reality as a whole. No special science – not even physics – can have that concern, because the subject-matter of every special science is identified more narrowly than this (Lowe, 2002: 2-3).
La metafisica, inoltre, ha l’obiettivo di indagare e stabilire ‘che cosa può esserci’ (che cosa è metafisicamente possibile), ed è dunque strettamente correlata al concetto di possibilità (metafisica), possibilità che, secondo Lowe, deve essere esplorata (o almeno assunta), prima che qualsiasi pretesa di verità circa la realtà possa essere legittimata dall’esperienza[5]. Attraverso l’esperienza, sulla quale si fondano le scienze empiriche, si potrà poi mostrare quale tra le varie possibilità metafisiche alternative è plausibilmente vera nella realtà. La metafisica è dunque preliminare rispetto alle scienze empiriche, in quanto «l’esperienza da sola non è in grado di determinare ciò che è attuale senza una delimitazione metafisica del regno del possibile» (Lowe, (1998) 2009: 22). Le scienze empiriche invece, dovendo stabilire che cosa è attualmente vero sulla base dell’esperienza, presuppongono la metafisica[6] (Lowe, (1998) 2009: 22): i contenuti dell’esperienza, su cui si fondano le scienze empiriche, possono infatti essere valutati solo alla luce di un quadro più generale che ci indichi cosa è metafisicamente possibile.
We should concede that, where a metaphysician asserts the existence of some fundamental structural feature of reality which he deems to be contingent in character, then, indeed, he should acknowledge that this claim is answerable to empirical evidence, at least in part. But it is important to see that such a claim is not answerable solely to empirical evidence. For where a metaphysician makes such a claim, it is incumbent upon him to establish […] that the existence of that feature is at least possible. The key point here is that empirical evidence cannot be evidence for the existence of anything which is not a possible feature of realty. But establishing that the existence of a certain feature of reality is possible is not something that can, in general, be achieved by merely empirical means of inquiry, precisely because empirical evidence can only be evidence for states of affairs that can independently be shown to be possible. Thus metaphysics […] does have a non-empirical subject-matter, to the extent that it is the intellectual discipline whose concern it is to chart the possibilities of real existence. Metaphysics is concerned to discover what the totality of existence could embrace: that is to say, what categories of entities could exist and which of them could co-exist. Having charted the possibilities, the question will remain as to which of many mutually incompatible possibilities for the fundamental structure of reality actually obtains – and this question can only be answered, if at all, with the aid of empirical evidence, and then only tentatively and provisionally (Lowe, 2002: 10-1).
In questo senso, le scienze empiriche possono interagire con la metafisica per determinare cosa è attuale: in particolare per stabilire se una determinata posizione metafisica è vera nell’attualità. Dichiarare dunque che il mondo esibisce una determinata proprietà metafisica sarà quindi un giudizio a posteriori, dal momento che deve rispondere al tribunale dell’esperienza. Ma il contenuto del giudizio manterrà sempre il suo carattere modale esprimendo un’autentica possibilità metafisica:
questa concezione dello statuto epistemologico degli enunciati della metafisica, essendo a un tempo modali e a posteriori, è ovviamente vicino alla posizione di Kripke. Egli sostiene, ad esempio, che alcuni enunciati di identità e costituzione veri siano metafisicamente necessari e tuttavia conoscibili solo a posteriori. Ciò che può essere conosciuto a priori, secondo Kripke, è semplicemente che, se vale l’identità tra due oggetti a e b, allora essa ha il carattere di una necessità metafisica ma il fatto che essa valga può essere conosciuto solo a posteriori. Non sono particolarmente incline ad accettare la posizione di Kripke […] né accetto la tesi connessa secondo cui la costituzione originaria di un oggetto è metafisicamente necessaria. Al contrario concordo con la sua intuizione che la metafisica abbia a che fare con verità modali e che possa, tuttavia, fornire risposte a questioni riguardanti l’esistenza attuale che si configurano come a posteriori (Lowe, (1998) 2009: 41-2).
Ammessa dunque a priori la correttezza di un determinato argomento metafisico e a posteriori la sua interazione con le discipline scientifiche per stabilire che cosa è attuale, avremo allora motivi, sia a priori che a posteriori, per affermare la correttezza e l’applicabilità di tale argomento metafisico al mondo attuale. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che la metafisica non può dirci che cosa c’è nella realtà se non interagendo con le discipline scientifiche: in questo senso, per quanto riguarda l’attualità, la metafisica da sola non può fornirci certezze. D’altra parte, gli stessi scienziati, secondo Lowe, formulano inevitabilmente assunzioni metafisiche, sia implicitamente che esplicitamente, nelle costruzioni e nel controllo delle teorie – assunzioni che sono al di là di quello che la scienza è in grado di fondare (Lowe, (1998) 2009: 17). E queste assunzioni devono essere esaminate criticamente sia dagli scienziati che dai filosofi: in entrambi i casi attenendosi ai propri metodi e oggetti di ricerca.
Si può dunque affermare che sia la metafisica che le discipline scientifiche mirano alla fondazione di una realtà oggettiva. Differiscono però per il loro atteggiamento riguardo al contenuto dell’esperienza che, secondo Lowe, ha un ruolo fondamentale nello stabilire come sia effettivamente fatta la realtà. Per gli scienziati, infatti, l’esperienza è una sorta di supporto evidenziale per ipotesi esplanatorie, e il suo contenuto è accettato in modo relativamente acritico (Lowe, 2009: 7), anche se è spesso interpretato alla luce delle teorie scientifiche prevalenti. Per i metafisici, invece, il contenuto dell’esperienza, e in particolare i concetti che servono a strutturare tale contenuto, è esso stesso oggetto di ricerca, critica e spiegazione sistematica, in base a principi a priori. Una tale divergenza impone, secondo Lowe, che metafisica e discipline scientifiche debbano sviluppare un rapporto di reciprocità – rapporto che l’autore definisce in termini di ‘complementarità’ e ‘cooperazione’ – in modo tale che la scienza non ignori più l’apriorità dei principi metafisici, così come la metafisica tenga in conto le costruzioni teoriche, a posteriori, della ricerca scientifica e dei suoi risultati. Da questo punto di vista il metafisico non può permettersi di ignorare gli sviluppi della scienza, ma non può rendersi colpevole di ‘schiavitù’ ideologica rispetto ai risultati scientifici (Lowe, 2006: 19). Dunque, nel chiedersi ‘che generi di cose esistono?’, il metafisico deve basarsi sui risultati della scienza e lavorare criticamente sulle assunzioni e sulla metodologia della riflessione scientifica, in modo tale da arrivare a una sintesi tra principi metafisici a priori e costruzioni teoriche scientifiche a posteriori:
Probabilmente […] il miglior servizio che la metafisica analitica può offrire è semplicemente tracciare le possibilità di esistenza e quindi fornire gli strumenti concettuali con i quali categorizzare il contenuto del mondo nel miglior modo possibile alla luce dell’esperienza, assumendo un atteggiamento mentale aperto nei confronti di nuove evidenze empiriche che possono sopraggiungere in futuro. Dobbiamo, naturalmente, rivolgerci alla scienza sperimentale per sapere ‘che cosa c’è’: gli scienziati, tuttavia, possono dirci cosa suppongono ci sia solo assumendo una qualche categorizzazione delle entità in questione e il compito di costruzione delle categorie è assegnato in ultima analisi alla metafisica e non alle scienze empiriche. La modesta speranza della metafisica analitica è di poter facilitare il compito della costituzione di teorie empiriche fornendo una struttura categoriale nella quale collocare le entità supposte da tali teorie. Una metafisica inadeguata […] può senza dubbio intralciare il processo di costruzione delle teorie scientifiche […]. Poiché ogni studioso formula teorie e congetture basandosi, inevitabilmente, su alcune presupposizioni metafisiche è meglio che tali assunzioni siano frutto di riflessione razionale piuttosto che implicite e non adeguatamente controllate (Lowe, (1998) 2009: 124).
- Sostanze, indipendenza ontologica, identità diacronica
Un’idea centrale nella proposta di Lowe è ritenere che la sostanza abbia un ruolo fondativo nella costituzione della realtà, riconducibile al fatto che, secondo Lowe, solo le sostanze sono entità ontologicamente indipendenti (Lowe, 2006: 109) e, in quanto tali, hanno una priorità ontologica rispetto alle altre entità. Ciò ovviamente non impedisce di considerare le entità non sostanziali come fondamentali in un sistema ontologico (Lowe, 2006: 20-33), ma semplicemente nel non poterle ritenere come entità ontologicamente indipendenti nello stesso senso attribuito alle sostanze. Le condizioni di esistenza e di identità[7] delle entità non sostanziali devono così dipendere in qualche modo dalla sostanza, alla quale sola è riconosciuta l’indipendenza ontologica. Ma cosa si intende precisamente con sostanza? E in che senso le sostanze sono entità ontologicamente indipendenti?
Lowe definisce l’entità x come una sostanza «se e solo se x è un particolare e non c’è nessun particolare y tale che y non è identico a x e l’identità di x dipenda dall’identità di y» (Lowe, (1998) 2009: 221). In questo senso, Lowe lega la definizione di sostanza alla relazione di dipendenza (esistenziale) rispetto all’identità. Secondo tale relazione, l’entità x dipende per la sua esistenza da y se, necessariamente, l’identità di x dipende dall’identità di y, che equivale ad affermare che ciò che è una cosa di genere y determina metafisicamente ciò che è una cosa di genere x[8] (Lowe, (1998) 2009: 215). Così concepita, la sostanza è un particolare (concreto[9]) che non dipende per la sua esistenza da nient’altro oltre che da se stesso, dove la dipendenza esistenziale coinvolta è intesa in termini di dipendenza rispetto all’identità. Il fatto che una sostanza sia indipendente per la sua identità non vieta che possa dipendere ‘genericamente’[10] da molti altri generi di entità (Lowe, (1998) 2009: 231). Inoltre va sottolineato come, secondo Lowe, non ci possano essere infinite catene discendenti di oggetti che stanno l’un l’altro in una relazione di dipendenza esistenziale rispetto all’identità, dovendo essere tutta l’esistenza reale ben fondata.
L’autore individua due diverse tipologie di sostanza, esaustive ed esclusive, a seconda del loro possedere o meno parti costituenti: le sostanze composite, i cui esempi sono le comuni cose concrete che costituiscono il mondo macroscopico, e le sostanze semplici (o primitive), i cui esempi possono essere sia alcune particelle subatomiche, sia le persone (o i sé). Tali sostanze differiscono inoltre per la loro identità diacronica: hanno cioè differenti criteri di persistenza per la loro identità attraverso il tempo.
Lowe definisce una sostanza come composita se possiede parti proprie concrete che servono a costituirla, ma non la considera come una semplice somma mereologica di quelle parti. Una tale sostanza, secondo Lowe, non dipende per la sua identità da nessun’altra entità: né dalle sue parti proprie, né da qualsiasi entità che non sia una sua parte costituente. Ciò ovviamente non implica che una sostanza composita non possa dipendere genericamente per la sua esistenza dalle sue parti proprie: essa esiste solo se esistono cose che sono le sue parti proprie, ma l’identità di tale sostanza non dipende dall’identità di quelle parti[11]. Inoltre, è metafisicamente possibile per una sostanza composita esistere senza nessun particolare concreto oltre le sue parti costituenti e altre entità dipendenti per l’identità da essa e dalle sue parti costituenti[12] (Lowe, (1998) 2009: 240).
L’identità nel tempo (diacronica) delle sostanze composite, secondo Lowe, è fondata a partire dalle relazioni di equivalenza definite sulle loro componenti attuali o possibili (gli oggetti concreti che le costituiscono, o possono costituirle) e consiste nella conservazione di tali relazioni tra le parti costituenti possedute da tali sostanze attraverso il tempo. In questo senso, l’identità diacronica di un orologio (sostanza composita) consisterà nell’invarianza di certe relazioni strutturali tra gli oggetti che costituiscono le sue componenti (per esempio: ruote metalliche, molle, ecc.) in un certo tempo. Analogamente, l’identità diacronica di un albero consisterà nella conservazione di certe relazioni biologiche funzionali tra gli oggetti che costituiscono le radici, il tronco, i rami, ecc. in un dato tempo[13]. La stessa argomentazione può essere esteda ai vari componenti dell’orologio (ruote metalliche, molle, ecc.) o dell’albero (foglie, radici, ecc.), nei termini dei loro componenti – il regresso implicato non sarebbe vizioso, in quanto terminerebbe a livello delle particelle fondamentali, le cui proprietà intrinseche sono immutabili[14].
Ma non tutte le sostanze sono composite. Come abbiamo detto, infatti, secondo Lowe tutta l’esistenza reale deve essere ben fondata. Di conseguenza, almeno alcune sostanze non composite devono necessariamente esistere, ammesso che esista qualcosa di concreto in generale. E a fondare l’esistenza del reale – e nello specifico a garantire il fondamento ultimo delle entità concrete – sono, secondo Lowe, le sostanze semplici (o primitive), intese come sostanze prive di parti costituenti e di un criterio d’identità diacronica. Tali sostanze possono essere tutte fisiche (esistenti necessariamente sia nello spazio che nel tempo), tutte mentali (esistenti necessariamente solo nel tempo, e solo in modo contingente e derivato nello spazio, in virtù di qualche relazione contingente che intrattengono con oggetti fisici di qualche tipo) oppure alcune fisiche e altre mentali.
Candidate a essere sostanze fisiche primitive possono essere, in alternativa, l’intero universo fisico come un tutto (olismo fisico), e le particelle individuali fondamentali (atomismo fisico), a seconda che i fenomeni fisici alla base della dualità onda-particella presente nella meccanica quantistica si interpretino rispettivamente in termini di onde e campi, o secondo descrizioni particellari. E, secondo Lowe, nella misura in cui le migliori teorie fisiche attuali sembrano, incoerentemente, non fornire ragioni sufficienti per scegliere tra le due alternative (nonostante la loro incompatibilità reciproca), potremmo essere portati a sostenere che, in realtà, non vi siano sostanze fisiche primitive, e conseguentemente dubitare che le sostanze fisiche esistano in generale (Lowe, (1998) 2009: 251). Per quanto riguarda le sostanze mentali primitive (che in quanto tali esistono nel tempo ma solo contingentemente nello spazio), Lowe individua nei sé individuali (le persone) i candidati più plausibili di tali sostanze (atomismo mentale). Ora, se per ipotesi considerassimo tutte le sostanze primitive come mentali, e dunque, sempre per ipotesi, non ci fossero sostanze fisiche primitive, di conseguenza, lo spazio sarebbe irreale in quanto nulla occuperebbe lo spazio in modo non derivato. Secondo Lowe, infatti, lo spazio stesso deve la sua esistenza all’esistenza di oggetti concreti capaci di occuparlo. Ma se da un lato, secondo l’autore, è possibile dubitare circa la realtà delle sostanze fisiche e di conseguenza dello spazio stesso, non si può fare lo stesso riguardo la realtà del tempo:
Infatti, benché l’esperienza della distanza e così dello spazio possano essere concepite come niente più che apparenze […], l’esperienza del mutamento e così del tempo non può essere semplice apparenza – dal momento che anche la stessa apparenza del cambiamento implica mutamento; e cioè, mutamento nell’esperienza cosciente di un soggetto o di un sé. Ma se il tempo è reale, allora almeno qualche sostanza primitiva esistente nel tempo deve esistere, per le ragioni addotte in precedenza. E poiché noi abbiamo ragione di dubitare che queste siano sostanze fisiche, nella stessa misura siamo giustificati a concludere che esse siano sostanze mentali, ove i sé individuali sembrano essere i candidati più naturali (Lowe, (1998) 2009: 252).
Diversamente dalle sostanze composite, le sostanze semplici non hanno un criterio informativo di identità diacronica e di conseguenza la loro identità attraverso il tempo è necessariamente primitiva (Lowe, (1998) 2009: 248). Nello specifico, la loro identità diacronica non può, a differenza delle sostanza composite, essere fondata sulla base di una relazione di equivalenza definita sulle sue parti componenti attuali o possibili poiché per ipotesi non ne possiedono (Lowe, (1998) 2009: 247). Ma non può essere fondata nemmeno su relazioni di equivalenza definite su entità concrete di qualche altro genere, o su oggetti distinti da esse. Infatti:
se un oggetto concreto è autenticamente una sostanza semplice, allora potrebbe, metafisicamente, esistere non accompagnato da alcuna entità concreta, tranne certe entità concrete fortemente dipendenti da essa stessa. E potrebbe continuare a esistere o persistere in quella condizione. [Dunque] la sua persistenza non può dipendere dalla conservazione di nessuna relazione che implichi altri particolari, esistenti indipendentemente, come altre sostanze (Lowe, (1998) 2009: 248).
In questo senso, Lowe ritiene che tutte e sole le sostanze semplici sono primitive, e tali entità primitive devono necessariamente esserci, in quanto strutturano la nostra concezione del tempo (Lowe, (1998) 2009: 161). Secondo Lowe, infatti, l’esistenza stessa del tempo dipende dall’esistenza di sostanze concrete individuali che persistono attraverso il tempo come ‘continuanti’[15], ovvero come cose in grado di essere soggette a cambiamenti riguardanti le loro qualità e relazioni, capaci di partecipare a eventi, e la cui persistenza è necessariamente primitiva[16].
- Tempo e persistenza
Dopo aver analizzato le considerazioni di Lowe sul concetto di sostanza e aver definito l’identità diacronica delle sostanze semplici e composite, ci occupiamo delle riflessioni dell’autore sulla natura del tempo e sulla persistenza degli oggetti attraverso il tempo.
Prima di procedere, occorre innanzitutto sottolineare come il dibattito contemporaneo relativo alla natura del tempo veda contrapposte due diverse posizioni: le teorie tensionali e atensionali. Le prime considerano le nozioni di passato, presente e futuro come indispensabili per la comprensione del concetto di tempo[17] (Lowe, (1998) 2009: 131). Le seconde «assumono che una metafisica del tempo richieda solo le nozioni di prima e dopo insieme al concetto derivato di simultaneità, intesa, probabilmente, come relazione tra due eventi che non accadono l’uno prima dell’altro e viceversa»[18] (Lowe, (1998) 2009: 131). Per quanto riguarda la persistenza degli oggetti attraverso il tempo, il dibattito contemporaneo vede invece opporsi perdurantisti ed endurantisti (Lowe, 2002: 49). Secondo i perdurantisti, un oggetto persiste attraverso il tempo perché possiede «differenti parti temporali in differenti momenti nei quali esiste»[19] (Lowe, (1998) 2009: 145). Secondo gli endurantisti, «un oggetto persiste attraverso il tempo poiché ‘interamente presente’ in ogni momento nel quale esiste» (Lowe, (1998) 2009: 145), intendendo con ‘interamente presente’ il fatto che gli oggetti persistenti non abbiano parti temporali, e che, se anche ci fossero, sarebbero concettualmente e ontologicamente posteriori all’oggetto persistente dal quale, si assume, siano parti[20]. Più precisamente, secondo Lowe, il dibattito tra endurantisti e perdurantisti si fonda
sul problema se qualcosa – e includo non solo gli oggetti persistenti ma anche eventi e processi – sia esteso nel tempo, in maniera analoga all’estensione delle cose nello spazio. Si tratta di una questione sulla natura del tempo e non sulla natura delle cose che esistono in esso. Ci si chiede, cioè, se si possa parlare propriamente del tempo come una dimensione della realtà in qualche modo simile alle tre dimensioni spaziali (Lowe, (1998) 2009: 150).
Lowe considera le questioni sulla natura del tempo e sulla persistenza degli oggetti attraverso il tempo come strettamente correlate. In particolare, adotta una caratterizzazione tensionale del tempo e sostiene che gli oggetti persistono attraverso il tempo come enduranti, sottolineando come una visione tensionale del tempo sia coerente con un’impostazione endurantista della persistenza (Lowe, (1998) 2009: 131). La concezione tensionale del tempo impegna, secondo Lowe, nel considerare le nozioni di passato, presente e futuro come fondamentali e irriducibili, senza tuttavia implicare che ogni evento sia passato, presente e futuro (Lowe, (1998) 2009: 135). Piuttosto:
1) Per ogni evento e, (I) era, è ora, o sarà vero dire ‘e è accaduto’ e (II) era, è ora, o sarà vero dire ‘e sta accadendo’ e (III) era, è ora, o sarà vero dire ‘e accadrà’[21].
Con questo, Lowe non intende sostenere che l’essere presente, l’essere passato e l’essere futuro, siano proprietà di eventi[22]. In tal caso risulterebbe difficile accettare che possano essere proprietà che un evento ha sempre avuto e che avrà sempre oppure proprietà che un evento ha ora, ha avuto o avrà solo temporalmente. Se infatti l’essere presente (così come l’essere passato e l’essere futuro) è una proprietà che, per esempio, la battaglia di Hastings una volta possedeva ma che ora non ha più, in come modo avrebbe perso tale proprietà?
Non dovremmo paragonare questo caso con quello dell’oggetto blu che perde il suo colore col passare del tempo: gli oggetti possono perdere o acquisire proprietà poiché essi persistono attraverso il tempo mentre avvengono mutamenti qualitativi; gli eventi, al contrario, non fanno nulla di tutto ciò. La battaglia di Hastings non esiste più adesso che ha ‘perso’ il suo ‘essere presente’, a differenza dell’oggetto blu che si è sbiadito. È vero che gli oggetti persistenti non subiscono solo mutamente qualitativi ma anche cambiamenti sostanziali, cessando di esistere a causa della perdita di una proprietà essenziale […]. Ma la perdita di attualità da parte di un evento non può essere paragonata a un mutamento sostanziale, poiché quest’ultimo equivale al cessare di esistere da parte di qualcosa che è persistito per un certo periodo e gli eventi, ancora una volta, non si comportano in questo modo (Lowe, (1998) 2009: 137).
Cosa significa dunque un’espressione come ‘il momento presente’ se non implica l’attribuzione della proprietà dell’essere presente a un momento del tempo? La risposta di Lowe è duplice. Da un lato, Lowe sottolinea come l’irriducibilità delle nozioni di passato, presente e futuro possa essere estesa ai tempi verbali. Dall’altro, secondo l’autore, «non ogni aggettivo che incontriamo nella struttura grammaticale del discorso quotidiano ricopre la funzione logica di esprimere una proprietà di qualche tipo. Talvolta tali aggettivi possono avere il ruolo di operatori proposizionali o di modificatori del predicato» (Lowe, (1998) 2009: 138). Dunque l’espressione ‘C’è pioggia a Durham al momento presente’ è solo un modo di dire ‘Adesso sta piovendo a Durham’ oppure ‘A Durham adesso piove’. Su questi presupposti, Lowe considera i tempi verbali nella grammatica logica come modificatori predicativi. Dire cioè «che Durham sarà piovosa equivale a predicare la piovosità di Durham nel futuro. Ed è perché Durham è un oggetto concreto, esistente nel tempo che […] è possibile predicarne proprietà come la piovosità solo in modo tensionale, passato, presente o futuro» (Lowe, (1998) 2009: 141). In definitiva:
dal punto di vista tensionale […] dire che un oggetto esistente nel presente persiste nel tempo significa semplicemente che quello stesso oggetto è esistito nel passato ed esisterà ancora nel futuro. Non c’è pertanto alcuna implicazione per cui se questo stesso oggetto persistesse fino a ora, allora qualche altro oggetto (e cioè una parte temporale di esso) dovrebbe esistere nel passato. Si noti che, nel caso delle dimensioni spaziali, appare intuitivamente corretto affermare che un oggetto spazialmente esteso, come la terra, esista ora da un’altra parte rispetto a qui (dove ‘qui’ si riferisce, per esempio a Durham) per il fatto che possiede parti spaziali che ora esistono in altri luoghi (per esempio, a San Francisco). […] Tuttavia, secondo l’approccio tensionale, nulla di simile può essere sostenuto nel caso del tempo. […] Considero un punto a favore della teoria tensionale proprio il fatto che essa neghi l’esistenza di parti temporali estese nel tempo, aspetto questo della realtà temporale che coincide esattamente con il senso comune (Lowe (1998) 2009: 154).
Infine, per quanto riguarda la persistenza degli oggetti nel tempo, va sottolineato come Lowe non consideri il tempo come una dimensione della realtà nella quale le cose concrete sono estese, rifiutando in questo modo una posizione perdurantistica sulla persistenza degli oggetti, per il suo implicare l’esistenza di entità (nello specifico, oggetti persistenti) temporalmente estese. Secondo Lowe tuttavia, un tale rifiuto non implica l’inserimento della propria posizione tra le teorie endurantiste:
essa [infatti] caratterizza via negationis una teoria della persistenza come una teoria che non fa ricorso alle parti temporali e […] pertanto la stessa distinzione tra teorie endurantiste e perdurantiste è nelle mani dei sostenitori delle parti temporali, i quali fanno proprio della verità o della falsità della loro teoria il nocciolo centrale della questione concernente la persistenza. In questo modo, le teorie endurantiste tendono ad apparire come meri contraltari delle teorie delle parti temporali, potendo risultare allo stesso tempo piuttosto deboli, specialmente se i loro sostenitori insistono (a differenza di quello che faccio io) sul fatto che la persistenza, o l’identità attraverso il tempo, sia sempre primitiva, anche nel caso di oggetti macroscopici composti in grado di sussistere dopo un mutamento nelle loro parti costituenti (Lowe, (1998) 2009: 158).
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[1] Edward Jonathan Lowe (1950-2014), professore di Logica filosofica all’Università di Durham, ha collaborato alle più importanti riviste della tradizione analitica (da Analysis a Mind, dal Notre Dame Journal of Formal Logic a Philosophy and Phenomenological Research), e alle più importanti case editrici dell’area anglo-americana, come Blackwell, Cambridge University Press, MIT Press, Oxford University Press, Routledge. È autore di undici libri e circa duecento articoli. I suoi interessi di ricerca hanno spaziato dalla metafisica all’ontologia, dalla filosofia della mente alla filosofia di John Locke. Tra i suoi contributi più significativi vanno ricordati: Kinds of Being (1989), Locke on Human Understanding (1995), Subjects of Experience (1996), The Possibility of Metaphysics (1998), An Introduction to the Philosophy of Mind (2000), A Survey of Metaphysics (2002), Locke (2005), The Four-Category Ontology (2006), Personal Agency (2008), More Kinds of Being (2009) e Forms of Thought (2013).
[2] Lowe tuttavia è restio a fornire una definizione rigorosa di metafisica, la cui imprecisione potrebbe comportare «il rischio di privilegiare un’impostazione filosofica a discapito di un’altra» (Lowe, (1998) 2009: 13).
[3] In questo senso, secondo Lowe, la metafisica va intesa come una disciplina autonoma di carattere razionale, e ogni cosa, inclusi lo status e le credenziali della metafisica stessa, è oggetto dell’indagine metafisica (Lowe, 2002: 3).
[4] Dalla metafisica otteniamo inoltre risposte a questioni concernenti le strutture fondamentali della realtà, questioni più fondamentali di quelle affrontate dalle discipline scientifiche, che si occupano di indagare solo parti specifiche della realtà.
[5] Lowe considera la possibilità metafisica come una possibilità reale (de re), che riguarda la natura delle cose, indipendentemente dal nostro modo di pensare e concettualizzare il mondo (Lowe, 2002: 13), e dal nostro modo di descriverlo (Lowe, 2002: 12). La possibilità metafisica di uno stato di cose, per esempio, non è determinata semplicemente dall’assenza di contraddizione nelle proposizioni utilizzate per descriverlo (benché, ovviamente, l’assenza di contraddizione sia un requisito minimale della possibilità metafisica), ma piuttosto dal fatto che l’esistenza di tale stato di cose è resa possibile da principi e categorie metafisicamente accettabili. La nozione di stato di cose, come quella di sostanza, proprietà e così via, è essa stessa una nozione metafisica. Queste sono considerate da Lowe come nozioni trascendentali: non derivano cioè dall’esperienza, ma servono per costruire ciò che l’esperienza ci dice della realtà. Ciò ovviamente non significa che l’applicabilità di una nozione metafisica alla realtà possa essere determinata interamente a priori, ma solo che la sua possibile applicabilità può essere determinata in questo modo (Lowe, (1998) 2009: 23-5).
[6] L’autore non ritiene però necessario distinguere con precisione assoluta gli argomenti a carattere metafisico e i problemi scientifici altamente teorici: tracciare un confine non è utile e non è richiesto per sostenere «che l’oggetto della metafisica è sufficientemente differenziato da costituire un nucleo tematico di una disciplina relativamente indipendente» (Lowe, (1998) 2009: 13).
[7] Le condizioni di esistenza delle entità di una categoria K sono condizioni necessarie e sufficienti per l’esistenza di qualsiasi K, mentre le condizioni di identità delle entità di una categoria K sono condizioni necessarie e sufficienti perché ogni Ks sia identico. Dal punto di vista formale le condizioni di esistenza di Ks avranno la forma: se x è un K, allora x esiste se e solo se C(x); mentre le condizioni di identità di Ks avranno la forma: se x e y sono Ks, allora x = y se e solo se C(x, y).
[8] Dire che l’identità di x dipende dall’identità di y (che x dipende per la sua identità da y) equivale ad affermare che ciò che è una cosa di tipo y determina metafisicamente ciò che è una cosa di tipo x. Tale relazione di dipendenza rispetto all’identità è una diretta conseguenza dei criteri d’identità che governano i generi dei quali gli elementi sono istanze. Inoltre, Lowe ammette che «x possa essere dipendente per la sua identità da y anche nei casi in cui l’identità di y da sola non sia sufficiente a fissare l’identità di x; così un insieme con due o più elementi dipende per la sua identità da ciascuno di essi, anche se la sua identità è completamente fissata solo dalle identità di tutti gli elementi» (Lowe, (1998) 2009: 215-6).
[9] Con ‘particolari concreti’ Lowe intende entità come cavalli, stelle, elettroni ecc.. A tali entità (più precisamente ai particolari concreti e naturali) l’autore riconosce una priorità ontologica rispetto a entità astratte (come proposizioni, insiemi) o artificiali (come libri, computer, città), evidenziando come il criterio che ci permette di distinguere le entità concrete da quelle astratte sia l’esistenza spazio-temporale: le entità concrete sono intese come esistenti nello spazio e nel tempo (o almeno nel tempo), le entità astratte sono invece a carattere non spazio-temporale (Lowe, (1998) 2009: 304, Lowe 2006: 81).
[10] La relazione invocata è definita da Lowe come dipendenza esistenziale non rigida (Lowe, 2006: 36). Secondo tale relazione: x dipende non rigidamente dagli ys=df per qualche F, gli ys sono Fs e, necessariamente, x esiste solo se c’è qualche z tale che z è un F.
[11] Per esempio, «un orologio può sopravvivere a un rimpiazzamento di una delle sue ruote o molle e un cavallo può sopravvivere alla perdita di uno dei suoi organi interni o di una delle sua ossa (tramite un trapianto o una procedura di rigenerazione). Questa è la ragione per cui le sostanza composite non dipendono per la loro identità dall’identità delle loro parti proprie […]. Quale orologio particolare sia un certo orologio non è determinato da quali particolari ruote e molle esso è costituito dal momento che quello stesso orologio potrebbe possedere differenti ruote e molle e i suoi componenti precedenti potrebbero essere ora posseduti da un altro orologio» (Lowe, (1998) 2009: 240).
[12] «Le sole entità concrete che dovrebbero esistere oltre a esso e alle sue parti sono entità che, qualora fossero le uniche aggiunte, dipenderebbero per la loro identità da esso (o dalle sue parti costituenti) – escludendo così la possibilità che il nostro oggetto sia, a sua volta, dipendente da tali entità, alla luce del carattere anti-simmetrico della dipendenza rispetto all’identità» (Lowe, (1998) 2009: 241).
[13] Una complicazione, secondo Lowe, è data dal fatto che certi oggetti materialmente inclusi in un altro oggetto non possono qualificarsi come suoi elementi costitutivi, benché essi risultino relati a esso in base alla relazione ‘essere elemento di’. Dato per esempio un pomodoro, essi saranno cioè elementi di elementi di.. di elementi di un pomodoro. Pertanto, un elettrone in un atomo in una molecola in… in una cellula in un seme di pomodoro non sarà considerato come elemento di un pomodoro. Scrive a tal proposito Lowe: «la ragione di questa precisazione è che desidero usare il termine ‘elemento di un F’ (dove gli F sono oggetti di un certo tipo) in maniera tale da rendere la questione riguardante l’identità di un individuo F e i mutamenti dei suoi elementi un problema in larga parte concettuale. Chiaramente, non sarà una questione teorica se i mutamenti degli elettroni materialmente inclusi in un pomodoro abbiano influenza sulla sua identità diacronica, mentre è davvero un problema concettuale se i cambiamenti degli elementi più complessi di un pomodoro – per esempio, i suoi semi, la buccia e la polpa – abbiano tale rilevanza. Pertanto, chiunque capisca il termine ‘pomodoro’ sa che se si asportassero tutti i semi, la buccia e la polpa di un pomodoro, non avremmo più alcun pomodoro; mentre non è affatto scontato che chi capisca il termine pomodoro sia, allo stesso modo, consapevole del fatto che se si tolgono tutti gli elettroni di un pomodoro, non rimarrebbe più nulla di simile a un pomodoro. E questo perché voglio includere semi, buccia, polpa ma non gli elettroni, come elementi costituitivi di un pomodoro. (Il fatto che tutto ciò comporti che la relazione ‘essere un elemento costitutivo di’ non sia transitiva non dovrebbe preoccuparci: possiamo senza problemi riconoscere nozioni più deboli di ‘essere parte di’ che rispettino la transitività)» (Lowe, (1998) 2009: 175-6).
[14] Va tuttavia sottolineato come, secondo Lowe, un tale approccio non possa fornire «un resoconto completo della persistenza delle sostanze: fornisce semplicemente uno schema per una teoria della persistenza di ogni sostanza composita nei termini della persistenza delle sue parti costitutive». Tale approccio non ha cioè «la pretesa di dirci, prima dell’indagine scientifica, sia teorica che sperimentale, quali siano le parti costitutive rilevanti a un certo punto della gerarchia della composizione, per sostanze di uno specifico tipo F. […] Conseguenza […] è il suo impegno verso l’esistenza di identità primitive alla base della gerarchia di composizione – e, riguardo ciò, abbiamo un tratto a priori. Qualche cosa – sia la hyle primitiva o i quarks – deve semplicemente persistere, senza alcun aggiunta e in ciò ogni persistenza materiale di livello superiore deve essere ultimamente fondata» (Lowe, (1998) 2009: 176-7).
[15] In questo senso secondo Lowe «Quale tempo sia un tempo particolare è […] determinato dalle sue relazioni a particolari eventi. […] In maniera del tutto simile, in assenza di cose estese che occupano spazio e intrattengono varie relazioni spaziali, lo spazio stesso e così i luoghi particolari non esisterebbero. Di quale luogo particolare si tratti è determinato, in ultima analisi, dalle sue relazioni con particolari entità estese. […] Luoghi e tempi particolari sono intrinsecamente privi di proprietà e quindi non hanno criteri interni per differenziarsi. È inoltre sterile supporre che luoghi e tempi possano essere individuati solo dalle relazioni tra essi, esattamente come nel caso dell’individuazione degli eventi; tuttavia, anche questo non sarebbe loro sufficiente per ottenere uno status sostantivale in accordo con la mia definizione» (Lowe, (1998) 2009: 239).
[16] Lowe arriva a tale conclusione partendo da tre premesse: 1) il tempo implica necessariamente mutamento (ossia: risulta parzialmente costitutivo della nozione di tempo che ogni periodo di tempo debba contenere eventi o accadimenti e che tali eventi o accadimenti debbano a loro volta essere concepiti come mutamenti, intesi necessariamente come mutamenti verso qualcosa o in qualcosa che persiste (Lowe, (1998) 2009: 179)); 2) un mutamento può accadere solo se c’è qualcosa che persiste durante il cambiamento (ossia: quando accade un mutamento deve esistere al tempo del cambiamento qualcosa che esisteva anche prima del processo (Lowe, (1998) 2009: 180)); 3) se non ci fosse nulla la cui persistenza fosse primitiva, allora la persistenza di ogni cosa dovrebbe dipendere da una successione di mutamenti. Da 1) e 2) deriva che: 4) il tempo può esistere solo se c’è qualcosa che persiste attraverso il tempo (ossia: non ci può essere un periodo durante il quale non vi siano oggetti persistenti). Da 2) deriva che: 5) se qualcosa persiste attraverso il tempo, allora c’è qualcosa la cui persistenza non dipende da una successione di cambiamenti. Infatti se la persistenza di ogni cosa dipendesse da una successione di mutamenti non dovrebbe esserci nulla la cui persistenza attraverso il cambiamento possa rendere quei mutamenti possibili nel modo richiesto da 2). Da 5) e 3) deriva che 6) se qualcosa che persiste attraverso il tempo, allora, c’è qualcosa la cui persistenza è primitiva. E infine da 4) e 6) deriva che: 7) il tempo può esistere solo se c’è qualcosa la cui persistenza è primitiva (Lowe, (1998) 2009: 183-4).
[17] Per un approfondimento sulle posizioni tensionali si vedano in particolare: Prior 1968, McCall 1994, Tooley 1997.
[18] Per un approfondimento sulle posizioni atensionali si veda in particolare Mellor 1981.
[19] Per un approfondimento sulle posizioni perdurantiste sulla persistenza si vedano in particolare: Quine 1961, D. Lewis 1983 e 1986.
[20] Per un approfondimento sulle posizioni endurantiste sulla persistenza si vedano in particolare: Merriks 1994, Lowe 1998.
[21] Sottolinea Lowe: «le cose sono leggermente più complicate per il fatto che, anche se è vero affermare ‘e sta accadendo ora’, allora, per la medesima ragione, era anche vero dire (un attimo prima) che ‘e accadrà’. Il modo migliore per rispondere a questa obiezione è distinguere […] tra differenti gradi di ‘essere passato’ (e di ‘essere futuro’), cosa che non dobbiamo fare nel caso del presente. L’italiano comune rende conto di questo problema grazie all’utilizzo di costruzioni avverbiali come ‘ancora prima’. Così possiamo dire che benché fosse vero una volta affermare ‘e sta accadendo’, ancora prima era vero dire ‘e accadrà’ […]. Un’altra complicazione, di minore entità, è che, nel caso di un evento e di qualche durata, l’esser presente può in effetti essere predicato di e in maniera non contraddittoria sia al tempo presente che nel passato; questo però solo perché e è diviso in due sub-eventi e’ ed e’’ tali che l’esser presente può essere predicato di e’ nel tempo presente e può essere predicato di e’’ solo nel passato» (Lowe, (1998) 2009: 135-6).
[22] Gli eventi sono definiti da Lowe come cambiamenti rispetto alle proprietà e alle relazioni di oggetti persistenti, «cosicché dire che un evento è accaduto significa dire che uno o più oggetti sono cambiati o sono rimasti in una certa maniera; naturalmente, gli oggetti in questione devono esistere nel tempo» (Lowe, (1998) 2009: 144). La sua ontologia degli eventi presuppone dunque la nozione di esistenza nel tempo, risultando in questo modo inaccettabile per i sostenitori della concezione atensionale.
Philosophia 6/2014, pp. 3-17