Categorie ontologiche, truthbearer e truthmaker. Il rapporto tra ontologia e verità nella proposta di E.J. Lowe

Timothy Tambassi
(Università del Piemonte Orientale)

Abstract: This article intends to provide an overview on E.J. Lowe’s main theses regarding categories, truth, and truthmakers. The first two parts discuss his ontological proposal in terms of categories and dependence relations. The last part is concerned with the notions of truth, truthbearer and truthmaker, in order to underline their specific connection with his ontological proposal.

pdf PDF                               Key words: ontology; category; truthbearer; truthmaker; truth


Nelle prossime pagine intendo mettere in luce le connessioni sussistenti tra verità, truthmaker e ontologia nella proposta di E.J. Lowe, discutendo le tesi di The Four-Category Ontology (2006). Il presente contributo si compone di tre parti: la prima dedicata all’ontologia dell’autore e finalizzata a definire quali categorie di entità esistono, la seconda ai rapporti di dipendenza ontologica tra le varie categorie, la terza alle tesi su verità, truthbearer e truthmaker. L’obiettivo è mostrare come un’analisi dell’inventario dell’esistente di Lowe sia imprescindibile per una caratterizzazione delle sue tesi su verità e truthmaker.

  1. L’inventario dell’esistente

La svolta ontologica che negli ultimi anni ha caratterizzato il dibattito analitico ha portato alla proliferazione di inventari dell’esistente differenti nei presupposti e nelle scelte metodologiche, ma accumunati dal tentativo di stabilire che cosa esiste. E.J. Lowe si colloca al centro di questo dibattito, proponendo un inventario dell’esistente aperto ai risultati della ricerca scientifica e fondato sulla centralità delle nozioni di economia ontologica e risorse esplicative e su due premesse teoriche. La prima è la suddivisione dell’ontologia in due parti: una a priori, l’altra empirica. La parte a priori si occupa di esplorare il regno della possibilità metafisica: di stabilire cioè quali categorie di cose possono esistere e coesistere per costituire un singolo mondo possibile. La parte empirica ha invece l’obiettivo di stabilire, sulla base dell’evidenza empirica e delle teorie scientifiche accettate, quali categorie di cose esistono nel mondo attuale. Definito a priori che cosa può esistere, saranno poi l’evidenza empirica e i risultati delle diverse teorie scientifiche a determinare quali categorie di entità esistono nel mondo effettivo e quali entità dobbiamo includere nelle varie categorie. La seconda premessa è l’attribuzione di una priorità ontologica alle entità concrete e naturali rispetto alle entità astratte o artificiali. Il criterio che ci permette di distinguere le entità concrete da quelle astratte è l’esistenza spazio-temporale: le prime esistono nello spazio-tempo (o almeno nel tempo), le seconde sono a carattere non spazio-temporale. Il criterio che ci permette invece di distinguere tra entità naturali e artificiali è l’essere soggette alle leggi naturali (derivate dalle diverse discipline scientifiche): le entità artificiali ne sono infatti soggette solo in modo derivato.

Su queste premesse Lowe suddivide l’inventario dell’esistente in quattro categorie ontologiche fondamentali[1]: oggetti, modi, generi e attributi. Tali categorie costituscono il riferimento attraverso il quale sono specificate, a priori, le condizioni di esistenza e d’identità di tutte le entità. Oggetti e modi sono entità particolari (rispettivamente sostanziali e non sostanziali) che istanziano universali ma non possono, per definizione, essere istanziate. Generi e attributi sono invece entità universali (rispettivamente sostanziali e non sostanziali) che possono a loro volta istanziare altri universali e sono istanziabili – ossia, hanno o hanno avuto particolari istanze. In questo senso, Lowe lega il concetto di esistenza all’istanziazione (gli universali sono necessariamente istanziati), includendo nella lista dell’esistente sia gli universali attualmente istanziati, sia gli universali che hanno avuto istanze, ed escludendo gli universali mai istanziati e non istanziabili.

Le quattro categorie ontologiche fondamentali sono correlate da due relazioni fondamentali, istanziazione e caratterizzazione, che ne determinano le caratteristiche definienti. Nello specifico, i generi sono universali che hanno oggetti come loro istanze (i generi sono cioè istanziati dagli oggetti), mentre gli oggetti istanziano (sono particolari istanze) dei generi. Analogamente, gli attributi sono universali che hanno modi come loro particolari istanze (gli attributi sono cioè istanziati dai modi), mentre i modi sono particolari che istanziano (sono particolari istanze) degli attributi. Inoltre, i generi sono caratterizzati da attributi (proprietà e relazioni universali), che a loro volta caratterizzano i generi. Analogamente, gli oggetti sono caratterizzati dai (propri) modi, che a loro volta caratterizzano gli oggetti. Lowe individua inoltre una terza relazione, l’esemplificazione, che lega oggetti e attributi: un oggetto esemplifica cioè certi attributi che a loro volta sono esemplificati da certi oggetti. Tale relazione è intesa come non fondamentale in quanto       riducibile, in due modi differenti, alle relazioni di istanziazione e caratterizzazione: un oggetto infatti può esemplificare un attributo sia istanziando un genere caratterizzato da quell’attributo, sia essendo caratterizzato da un modo che istanzia quell’attributo.

Alla categoria degli oggetti (o sostanze individuali) Lowe riconosce un ruolo fondativo nella costituzione della realtà, riconducibile al fatto che, secondo l’autore, solo gli oggetti sono entità ontologicamente indipendenti[2] e, in quanto tali, hanno una priorità ontologica rispetto alle altre entità. Con oggetti si riferisce a particolari concreti, persistenti e governati da precise condizioni di identità e numerabilità[3], e li definisce come portatori di proprietà particolari – definizione che esclude dalla lista dell’esistente gli oggetti non portatori di alcuna proprietà (bare particulars), ossia i residui del processo di astrazione di tutte le proprietà dagli oggetti. Secondo Lowe, infatti, un oggetto è per definizione un portatore di proprietà e come tale è caratterizzato da una molteplicità di modi d’essere (proprietà e relazioni particolari) diversi. Tali modi d’essere (ways of being) di un oggetto (la particolare rossezza di questa mela, la particolare forma di quell’albero) costituiscono la categoria fondamentale dei modi[4] e si suddividono in proprietà particolari, istanziate e non ripetibili di un oggetto (modi monadici), e relazioni particolari (modi poliadici o relazionali), istanziate e non ripetibili tra due o più oggetti. Alla categoria dei modi corrisponde, tra gli universali, quella degli attributi, dei quali i modi rappresentano le istanze individuali. Come i modi, gli attributi si suddividono in proprietà e relazioni universali, e sono intesi rispettivamente come modi d’essere monadici universali di due o più oggetti distinti (tali che ciascun oggetto può essere in tal modo)[5] e modi d’essere poliadici (o relazionali) universali di due o più oggetti l’uno rispetto all’altro[6]. In questo senso, Lowe include nel proprio sistema ontologico proprietà e relazioni, concepite sia come particolari che come universali. Infine, tra le categorie fondamentali l’autore inserisce anche i generi (kinds) o sortali (sortals), entità come pianeti, cani, elettroni, intesi come universali sostanziali, istanziabili, con condizioni d’individuazione determinate: sono cioè entità numerabili e con precise condizioni d’identità. I generi sono definiti dall’autore come entità universali portatrici di proprietà universali (attributi) che non possono a loro volta essere portate. Diversamente, gli attributi sono entità universali portate dai generi che essi stessi caratterizzano e che costituiscono le loro proprietà distintive.

  1. Dipendenza ontologica

Le relazioni ontotologiche di istanziazione e caratterizzazione permettono di individuare i rapporti di dipendenza ontologica tra le diverse categorie e di specificarne le condizioni d’identità e di esistenza. Per mostrare tali rapporti di dipendenza ontologica ci serviremo del cane Fido (oggetto) che istanzia l’universale canità (genere), è caratterizzato dalla sua particolare bianchezza (modo) ed esemplifica l’universale bianchezza (attributo).

I modi, secondo Lowe, dipendono per la loro esistenza e per la loro identità dagli oggetti (che caratterizzano): modi diversi possono dipendere dallo stesso oggetto, ma nessun singolo modo può dipendere da più oggetti differenti. Questo significa che la particolare bianchezza di Fido esiste solo perché Fido esiste, ed è distinta da ogni altra particolare bianchezza perché solo Fido possiede questa particolare bianchezza. I modi dipendono inoltre per la loro esistenza dagli attributi di cui sono istanze. Lowe parla di least determinate proprietà, intendendo con questo le caratteristiche ultime (più specifiche) che caratterizzano un oggetto.

I generi dipendono per la loro esistenza ma non per la loro identità da alcuni membri della categoria degli oggetti. Se Fido e Rover fossero gli unici cani esistenti, la canità potrebbe esistere anche se Fido e Rover non fossero esistiti, ma la canità non esisterebbe se non fosse mai esistito alcun cane. I generi dipendono inoltre per la loro identità e per la loro esistenza da alcuni membri della categoria degli attributi. La canità dipende infatti per la sua identità e per la sua esistenza da un numero di attributi che determinano le sue caratteristiche essenziali, per esempio dalla carnivorezza (essere carnivori), in quanto non possono esserci cani non carnivori. Se invece si dimostrasse che ci possono essere cani non carnivori, la carnivorezza (così come altri attributi) non sarebbe più una caratteristica essenziale della canità, ma contingente, e altre caratteristiche (per esempio alcune caratteristiche genetiche) ricoprirebbero il ruolo di essenziali. La bianchezza (attributo) invece non può avere lo status di caratteristica essenziale per la canità, ma solo di caratteristica contingente: possono cioè esistere cani bianchi, ma i cani non sono necessariamente bianchi.

Gli attributi dipendono per la loro esistenza ma non per la loro identità dai modi. Analogamente a quanto detto per i generi, se la particolare bianchezza di Fido e la particolare bianchezza di Rover fossero le uniche particolari bianchezze esistenti, l’attributo bianchezza dipenderebbe effettivamente (attualmente) da questi due modi di bianchezza. Ma l’attributo bianchezza esisterebbe anche se le particolari bianchezze di Fido e Rover non esistessero, se solo fosse esistita una qualsiasi particolare istanza di bianchezza. Gli attributi inoltre dipendono per la loro esistenza ma non per la loro identità da alcuni membri della categoria dei generi. La bianchezza (attributo) non esisterebbe se nessun genere fosse caratterizzato dall’essere bianco, ma allo stesso tempo la bianchezza, potendo caratterizzare vari generi, non dipende per la sua identità da uno specifico genere che caratterizza.

Infine, gli oggetti dipendono per la loro esistenza ma non per la loro identità dai generi di cui sono istanze. In questo senso gli oggetti sono istanze di un genere senza il quale non potrebbero esistere: il cane Fido dipende cioè per la sua esistenza dall’esistenza del genere canità. Gli oggetti però non dipendono per la loro esistenza e per la loro identità dai modi che li caratterizzano: Fido non dipende per la sua esistenza e per la sua identità dalla sua particolare bianchezza, Fido infatti potrebbe esistere senza tale bianchezza. C’è quindi asimmetria tra oggetti e modi: i primi sono particolari indipendenti mentre i secondi sono particolari dipendenti (dagli oggetti).

Si può notare un’analogia tra le categorie degli oggetti e degli attributi: entrambe infatti non dipendono per la loro identità da entità appartenenti ad altre categorie ontologiche ma, al massimo, certi oggetti e certi attributi possono dipendere per la loro identità da altre entità appartenti alla stessa categoria ontologica. Per esempio, un mucchio di rocce dipende per la sua identità dalle rocce di cui è costituito, così come una proprietà congiuntiva dipende per la sua identità dalle singole proprietà congiunte: essere biondo e tedesco dipende dall’essere biondo e dall’essere tedesco. Questo tuttavia non deve portarci all’erronea conclusione di considerare sullo stesso piano oggetti e attributi. Lowe infatti aderisce a un’ontologia sostanzialistica e ritiene che solo la categoria degli oggetti abbia piena indipendenza ontologica. L’indipendenza ontologica degli oggetti nasce dal fatto che gli attributi hanno bisogno di portatori di proprietà per esistere, non potendoci essere attributi non esemplificati. E in questo senso gli attributi sono dipendenti dagli oggetti. A questo può essere obiettato che anche gli oggetti hanno bisogno di proprietà per esistere, dal momento che un oggetto è essenzialmente un portatore di proprietà e, secondo Lowe, non esistono particolari nudi. Tuttavia, un attributo come ‘avere una carica elettrica’ non esisterebbe se non ci fossero oggetti con carica elettrica, mentre gli oggetti dotati di carica elettrica sono tali che, nonostante debbano avere alcune proprietà per esistere, non hanno bisogno di avere la proprietà ‘avere una carica elettrica’ per esistere, perché possono possedere questa proprietà in modo contingente. In questo senso, gli oggetti sono ontologicamente precedenti agli attributi (e a ogni altra categoria ontologica) e occupano un posto più fondamentale nello schema dell’essere.

  1. Verità, truthbearer e truthmaker

Definito l’inventario dell’esistente di Lowe e i rapporti di dipendenza ontologica tra le varie categorie, ci occupiamo ora delle sue tesi su verità, truthbearer e truthmaker.

Lowe considera la verità come una nozione primitiva e indefinibile e, pur riconoscendole un ruolo ineliminabile nell’attività intellettuale, è restio a fornirne una definizione rigorosa. La mancanza di una definizione non impedisce all’autore di descriverla come unica e indivisibile (monismo aletico) e di opporsi alle varie teorie relativiste che considerano la verità stessa come molteplice o relativa a un soggetto conoscente. Il monimo aletico non implica un monismo sui portatori di verità (truthbearer) che, secondo Lowe, possono appartenere a categorie ontologiche diverse senza che la verità risulti frammentata. In altre parole, possiamo essere pluralisti sui portatori di verità, qualificando come tali entità come enunciati, credenze e proposizioni. Alle proposizioni Lowe riconosce il ruolo di portatori di verità primari: secondo l’autore, infatti, le proposizioni, concepite come entità astratte, sono da sole sufficientemente numerose per costituire la totalità delle verità che ci sono. Così concepita, la verità in senso primario è la verità di una proposizione, a enunciati e credenze è invece assegnato il ruolo di portatori di verità secondari: la verità degli enunciati è infatti definita come la verità delle proposizioni che gli enunciati esprimono, mentre la verità delle credenze come la verità delle proposizioni che costituiscono il loro contenuto intenzionale. La scelta delle proposizioni come portatori di verità primari garantisce, secondo l’autore, maggiori vantaggi rispetto a credenze e proposizioni. L’attribuzione di tale ruolo alle credenze comporterebbe, infatti, il relativizzare la verità al soggetto conoscente. Ponendo gli enunciati come portatori di verità primari non riusciremo invece a esaurire la totalità delle verità, essendoci verità che non sono (né saranno) mai espresse.

L’unicità e indivisibilità della verità non comporta un monismo nemmeno sui truthmaker che, come i truthbearer, possono essere diversi (ciò che rende vera la proposizione ‘Marte è rosso’ è qualcosa di diverso da ciò che rende vera la proposizione ‘Venere è bianco’) e appartenere a categorie diverse – nello specifico, alle quattro categorie ontologiche fondamentali. Data una proposizione, secondo Lowe, la relazione di truthmaking consiste nella relazione tra tale proposizione e le entità da questa menzionate, da cui le proposizioni dipendono per la loro identità. Tali entità sono concepite come i truthmaker della proposizione, e come tali rendono vera la proposizione che li esprime. In questo senso, una proposizione disgiuntiva è resa vera da qualcosa che rende vero almeno uno dei due disgiunti, una proposizione negativa, invece, è resa vera dall’esistenza di qualcosa che rende vera la corrispettiva proposizione affermativa. Diversamente, per l’implicazione dovremo usare la nozione di necessità metafisica, per cui una tale proposizione è vera in ogni mondo possibile in cui il truthmaker del conseguente esiste, o in cui non esiste il truthmaker dell’antecedente.

La diversità categoriale dei truthmaker non deve apparirci come una caratteristica disunificante, può infatti essere giustificata sostenendo, a fianco dell’unicità della verità, il fatto che la realtà sia fondamentalmente una: che ci sia quindi una sola somma totale dell’esistente uguale per tutti i pensatori, i posti e i tempi. Sostenere che la realtà sia una, oltre a opporsi a ogni forma di relativismo, impegna, secondo l’autore, ad accettare il principio di non contraddizione che, applicato ai truthmaker, comporta che data una proposizione non ci potrà mai essere un truthmaker per questa e, contemporaneamente, per la sua negazione. La proposta di Lowe è quindi che ammettendo l’unicità della verità, si accettino di pari passo il principio di non contraddizione, l’unicità della realtà e la sua indipendenza dal mentale. Ciò tuttavia lascia spazio a molte forme di pluralismo: la realtà e la verità, infatti, pur essendo uniche ammettono una pluralità al loro interno e, in questo senso, non è contraddittorio sostenere un pluralismo sui truthmaker e la possibilità che essi possano appartenere a categorie ontologiche diverse.

Dire che una proposizione deve essere rese vera da qualcosa impone di specificare quel qualcosa che rende vera tale proposizione. A tal proposito, Lowe sottolinea come la relazione di truthmaking implichi una dipendenza di tipo essenziale: il truthmaker di una proposizione è qualcosa tale che è parte dell’essenza di quella proposizione l’essere vera se quel qualcosa esiste.

In questo senso, secondo l’autore, una proposizione che esprime una verità logicamente necessaria è essa stessa il proprio truthmaker:

it is indeed part of the essence of, say, the proposition that nothing both is and is not – the law of non-contradiction – that it is true if it exists. And since, plausibly, this proposition is also a necessary being, in whose essence it is to exist, it follows that it is part of the essence of the proposition that nothing both is and is not that it is unconditionally true, as befits a law of logic. (So perhaps the chief difference between purely logical truths and other propositions is that, while it is part of the essence of any proposition that it is either true or false, only in the case of a proposition that is a purely logical truth is it part of the essence of that proposition that it is true.)[7]

Diversamente, le proposizioni che esprimono verità metafisicamente necessarie (per esempio ‘7+5=12’) non possono costituire i propri truthmaker. Infatti, è parte dell’essenza della proposizione ‘7+5=12’ il fatto che essa esista se i numeri naturali esistono, e sono proprio tali numeri a fungere da truthmaker per la proposizione in questione. In altre parole, la verità di questa proposizione dipende essenzialmente da questi numeri, ed è parte dell’essenza di questi numeri essere in questa relazione aritmetica.

Ciò ovviamente non esclude la contingenza dalla proposta di Lowe. Si consideri per esempio la proposizione ‘questa mela è rossa’. Secondo Lowe, in questa proposizione sono coinvolti: un oggetto (mela), un genere (l’universale ‘mela’), un attributo (l’universale ‘rossezza’) e un modo (la particolare rossezza di questa mela) che, nel caso specifico, costituisce il truthmaker della proposizione in questione. Ora, va innanzitutto sottolineato come dai rapporti di dipendenza ontologica sia emerso come i modi dipendano per la loro esistenza dalle categorie degli oggetti e degli attributi. È cioè parte dell’essenza di qualsiasi modo rossezza di questa mela esistere solo se questa mela (oggetto) e l’universale rossezza (attributo) esistono. O meglio, è parte dell’essenza di qualsiasi modo rossezza di questa mela esistere solo se questa mela esemplifica l’universale rossezza, ossia solo se la proposizione ‘questa mela è rossa’ è vera. Tuttavia, non è parte dell’essenza di un modo rossezza di questa mela il fatto che, se la proposizione ‘questa mela è rossa’ è vera, allora quel modo esiste. Questa mela, infatti, potrebbe essere rossa in quanto caratterizzata da un modo rossezza diverso. Si può però affermare che è parte dell’essenza della proposizione che questa mela è rossa è vera se e solo se un qualsiasi modo rossezza di questa mela esiste. Ma l’esistenza di un qualsiasi modo rossezza di questa mela è contingente: è parte dell’essenza di qualsiasi modo l’esser posseduto da questa mela, ma non è parte dell’essenza di questa mela l’esemplificare l’universale rossezza, né il possedere un qualsiasi modo rossezza. L’esistenza di un modo rossezza di questa mela è tuttavia sufficiente a garantire che questa mela esemplifichi l’universale rossezza, un tale modo, infatti, è un’istanza dell’universale rossezza ed è posseduto da questa mela. Quindi, se un tale modo esiste, la mela esemplifica l’universale rossezza. In questo senso, i modi, la cui esistenza è contingente, sono non-contingentemente relazionati alle categorie degli oggetti e degli attributi. Dunque, un oggetto a esemplifica un universale F solo se esiste un modo m che dipende essenzialmente dall’oggetto a e dall’attributo F. E la relazione di esemplificazione, che collega indirettamente oggetti e attributi, può essere contingente perché è contigente l’esistenza di un modo che fa da mediatore tra oggetto e attributo.

In definitiva, Lowe sottolinea come le proposizioni dipendano per la loro identità dalle entità che nominano: è cioè parte dell’essenza di tali proposizioni l’esser vere solo se le entità nominate esistono. E tali entità, secondo l’autore, appartengono alle quattro categorie ontologiche fondamentali. In questo senso, la proposizione ‘a è F’, in cui a è un oggetto che esemplifica l’universale F, dipende per la sua identità sia da a che da F[8]. Ma un possibile truthmaker di una proposizione non necessita di essere qualcosa da cui dipende l’identità della proposizione. Infatti, la proposizione ‘a è F’ ha come truthmaker un modo m di F posseduto da a, e tale modo m è qualcosa tale che è parte dell’essenza della proposizione l’essere vera se quel modo esiste. Ma non è parte dell’essenza del modo m che se la proposizione ‘a è F’ è vera allora questo modo m esiste ed è quindi un truthmaker della proposizione: a potrebbe infatti essere F perché caratterizzato da un modo diverso da m. Quindi, ‘a è F’ è vera se e solo se esiste una qualsiasi entità e dello stesso tipo di m, ma che non è necessariamente m pur essendo dello stesso tipo. Per ovviare a possibili difficoltà, Lowe postula due assiomi fondativi per la propria teoria dei truthmaker:

  1. per una proposizione p, ci sono una o più tipi di entità, E1, E2, . . . En, tali che, per un i compreso tra 1 ed n, è parte dell’essenza di p che p è vera se un’entità del tipo di Ei esiste;
  2. un’entità e, è un truthmaker della proposizione p se e solo se e appartiene ad una delle entità-tipo Ei che, in accordo con l’assioma (1), è implicata nell’essenza di p.

Un modo m dell’universale F posseduto dall’oggetto a è quindi un truthmaker della proposizione ‘a è F’. L’assioma (1) è infatti soddisfatto da m (un modo dell’universale F posseduto da a) in quanto è parte dell’essenza della proposizione ‘a è F’ che tale proposizione è vera se un’entità del tipo di m esiste. Ma essendo m una delle entità-tipo implicata nell’essenza di ‘a è F’ allora m è un truthmaker della proposizione ‘a è F’ e quindi anche l’assioma (2) è soddisfatto. 

Ringraziamenti

Parte di questo saggio ricalca alcune mie precedenti pubblicazioni. In particolare, le sezioni 1 e 2 riprendono alcune considerazioni esposte in: Leggi di natura, necessità, contingenza. Il punto di vista di E.J. Lowe, Educação e Filosofia Uberlândia 28(56), pp. 809-825; Inventari dell’esistente: il confronto Armstrong-Lowe, Kinesis 10, 2013/5, pp. 173-80.

[1] Una categoria ontologica, secondo Lowe, è un tipo di entità, la cui appartenenza è determinata da specifiche condizioni di esistenza e di identità, e la cui natura è determinabile a priori. Lowe distingue inoltre le categorie fondamentali dalle categorie non fondamentali in base alla loro irriducibilità ontologica: le categorie fondamentali sono cioè ontologicamente irriducibili in quanto non dipendono per le loro condizioni di esistenza e di identità da altre categorie. Le condizioni di esistenza delle entità di una categoria K sono condizioni necessarie e sufficienti per l’esistenza di qualsiasi K, mentre le condizioni di identità delle entità di una categoria K sono condizioni necessarie e sufficienti perché ogni Ks sia identico.

[2] Tale indipendenza ontologica è definita in termini di identità: gli oggetti, a differenza di tutte le altre entità, non dipendono per la loro identità da nient’altro eccetto che da se stessi.

[3] Per quanto riguarda le condizioni d’identità, gli oggetti sono individuabili e identificabili come particolari istanze di un determinato genere che fornisce il criterio d’identità dell’oggetto in questione. Le condizioni d’identità degli oggetti sono inoltre collegate, a livello macroscopico, alla loro numerabilità (alla possibilità di essere numerati). Le nozioni d’identità e numerabilità si separano però nel mondo quantistico, dove le entità presenti possono essere numerate ma non possiedono condizioni d’identità determinate, e costituiscono così la categoria dei quasi-oggetti. Secondo Lowe, infatti, una particella atomica non può essere considerata come un vero e proprio oggetto perché, pur essendo un’entità numerabile, manca di condizioni d’identità determinate che ne permettano l’individuazione.

[4] I modi possono essere colti attraverso un processo mentale di astrazione quando percepiamo o pensiamo l’oggetto in questione, ma non sono in alcun modo indipendenti dall’oggetto e non possono essere considerati come suoi costituenti.

[5] Per esempio, la proprietà universale ‘rossezza’ è un modo in cui due o più cose possono essere colorate, tale che ognuna di esse, essendo così colorata, è detta colorata allo stesso modo (con ‘lo stesso modo’ si intende in un modo numericamente identico).

[6] Per esempio, la relazione universale ‘essere più alto di’ è un modo d’essere in cui gli oggetti, con una qualsiasi altezza, sono in rapporto tra loro.

[7] E.J. Lowe, The Four-Category Ontology: A Metaphysical Foundation for Natural Science, Clarendon Press, Oxford 2006, p. 203.

[8] Questo, ovviamente, non implica che una proposizione dipenda per la sua esistenza dalle entità che esprime.